La Lingua Inglese: Cenni Storici

 

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La Lingua Inglese: Cenni Storici

Cominciamo dall'inizio. Quando Giulio Cesare invade la Gran Bretagna nel 55 a.C., trova un paese popolato da quella gente misteriosa che chiamiamo Celti. In tutta la storia che segue, questi celti vengono spinti indietro da diversi invasori europei così che oggi la loro lingua sopravvive nel Galles e nel gaelico della Scozia e dell'Irlanda. (In una delle piccole ironie della storia, i celti della Cornovaglia vengono respinti oltre Manica e reintroducono la lingua celtica, il bretone - da "Britannia" - ancora oggi parlato, in un paese già latinizzato.)

Giulio Cesare invade la Gran Bretagna ("veni, vidi, vici") ma si ritira con le sue legioni. L'occupazione del paese che i romani chiamano Britannia deve aspettare quasi 90 anni; viene effettuata nel 43 d.C. quando Claudio è imperatore, e dura fino al 410 d.C. quando, ad impero vacillante, le ultime legioni vengono ritirate. Questa "associazione" della durata di quasi quattro secoli lascia sorprendentemente pochi segni, sia dal punto di vista linguistico (il popolo continua a parlare celtico con qualche parola presa in prestito dal latino), sia dal punto di vista architettonico (Adriano, tuttavia, lascia il suo famoso vallo, costruito per proteggere i celti addomesticati dai Pitti e Scoti, i loro cugini più feroci del nord e dell'ovest).

Dopo il ritiro delle legioni, i celti britannici, che non sono più abituati a curarsi della propria difesa, sono di nuovo minacciati dai Pitti e Scoti, e chiamano in aiuto, 30 anni dopo la partenza degli ultimi romani, i "Sassoni" della Germania del nord. Arrivano gli Angli (da Schleswig), i Sassoni (da Holstein) ed i Juti (dall'odierna Danimarca); ma a loro turno questi rappresentano una minaccia ancora più grave per i celti britannici, che vengono sommersi o respinti in Galles, Cornovaglia, addirittura in Bretagna. E' probabile che la leggenda di Artù sia in effetti la storia di un reuccio celtico alle prese con gli invasori teutonici.

Angles, Saxons & Jutes

Entro il 600 d.C., gli Anglo-Sassoni cominciano a considerarsi "inglesi" (da "Angli"). Nel 597 arriva Sant'Agostino a convertirli al cristianesimo, che rappresenta un'influenza latinizzante. Agostino diventa il primo Arcivescovo di Canterbury. Questo missionario, inviato insieme a 40 monaci da Papa Gregorio I, non è da confondersi con il Sant'Agostino da Ippona, vissuto un secolo prima.

Nel periodo anglo-sassone (all'incirca dal 450 al 1100), il celtico sparisce quasi completamente dall'Inghilterra. Il termine "anglo-sassone", usato così spesso in maniera approssimativa se non impropria, ha quindi una sua precisa connotazione non soltanto storica ma anche linguistica. L'anglo-sassone, lingua parlata e scritta, risulterebbe incomprensibile all'anglofono odierno, anche se circa metà dei vocaboli inglesi è di origine anglo-sassone o scandinava.

Dalla fine dell'ottavo secolo, e soprattutto nella seconda metà del nono secolo (specie nel periodo 865-880), il paese subisce le scorrerie di bande di Vichinghi o "Danesi" (cioè comunque scandinavi) che alla fine si mescolano agli inglesi e si convertono al cristianesimo, ma non senza aver dato un loro contributo significativo alla lingua. In questo stesso periodo, altri vichinghi si insediano sulla costa della Francia dove vengono chiamati "normanni" (uomini del nord); questi apprendono la lingua e la cultura dei francesi e saranno importantissimi per la storia d'Inghilterra duecento anni dopo.

In tutta la storia inglese, c'è una data che primeggia su ogni altra: 1066 (che si pronuncia "ten sixty-six"). In effetti, c'è un libro delizioso di Sellar e Yeatman che si chiama "1066 and All That"; questo, in chiave umoristica, racconta la confusione che ogni scolaro inglese avrebbe in testa circa la storia del proprio paese.

Nel 1066, Guglielmo Duca di Normandia ("William the Conqueror") invade attraverso la Manica, uccide Re Harold nella battaglia di Hastings, conquista il paese e si installa come re. (Questa è l'ultima invasione nella storia della Gran Bretagna.) Per più di tre secoli, nessun re d'Inghilterra parlerà inglese, perlomeno non come prima lingua. (Henry Bolingbroke, che regna dal 1399 al 1413, è il primo re veramente anglofono dopo la Battaglia di Hastings; e solo dal 1362 il Parlamento ed i tribunali usano l'inglese.)

Con l'arrivo dei francesi normanni, inizia un periodo di dicotomia linguistica. I signori (Guglielmo e la sua corte, i suoi fedeli ed eredi) parlano francese, mentre il popolo parla ancora anglo-sassone-norreno (cioè l' "inglese" dell'epoca). Questa dicotomia è evidente, ancora oggi, nei vocaboli della lingua inglese moderna. Le parole più semplici di ogni giorno, i nomi degli animali da cortile ed i termini da contadino (nonché le famose "four-letter words" che in genere hanno a che fare con funzioni corporee) sono di derivazione anglo-sassone; mentre tutto ciò che riguarda concetti astratti o intellettuali tende ad essere di derivazione greco-latina tramite il francese normanno o direttamente dal latino medievale. Finchè l'animale sta nei campi ha un nome anglosassone ("cow" oppure "ox", "calf", "swine", "sheep" - nel moderno Hochdeutsch "Kuh", "Ochs", "Kalb", "Schwein", "Schaf"), ma quando arriva sul piatto del signore, assume un nome francese ("beef", "veal", "pork", "mutton" - in francese moderno "bœuf", "veau", "porc", "mouton"). Circa metà dei vocaboli inglesi deriva dal francese o dal latino.

Già il francese di Guglielmo non è quello di Parigi, e con il passare degli anni, il francese normanno diventa anglo-normanno, sempre più mescolato all'anglo-sassone e lontano dal francese. Quando i notabili cominciano a sentirsi in imbarazzo nel parlare un francese scadente, decidono poco alla volta di adottare l'inglese.

Naturalmente, nel medioevo la lingua della chiesa e degli intellettuali rimane il latino. [Ancora nel 1687, Newton scrive in latino il suo "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica".] Comunque le cose stanno cambiando: uno dei giganti della prima letteratura inglese è Geoffrey Chaucer (c. 1345-1400). I suoi "Racconti di Canterbury" (Canterbury Tales) ed altre opere, benchè inconfondibilmente in inglese, sono oggi di difficile lettura - più lontani dalla lingua moderna che non il linguaggio di Dante dall'italiano moderno. L'anglofono odierno trova più facile leggere queste opere in "traduzione". Chaucer, capacissimo di scrivere anche in francese e latino (tra l'altro, fa il diplomatico per conto del sovrano), sceglie l'inglese e, così facendo, consolida la fusione della linea anglo-sassone-norreno con quella del francese-latino in una nuova lingua moderna.

La pronuncia della lingua cambia molto nel quindicesimo secolo, dopo la morte di Chaucer. Ma gran parte dello spelling rimane ancorato al passato, anche per "colpa" di William Caxton (c. 1422-c. 1491) che stampa il primo libro in lingua inglese nel 1474 o 1475 a Bruges(!) nelle Fiandre. Se Caxton fosse stato un vero riformatore e semplificatore (e se non avesse usato stampatori fiamminghi!), forse oggi avremmo un'ortografia più logica.

Una discussione dello sviluppo della letteratura inglese esula dallo scopo del presente documento. Tuttavia, non si può concludere senza menzionare un altro gigante, che sovrasta tutti gli altri: William Shakespeare (1564-1616). Quest'uomo da solo è responsabile della creazione di molte centinaia di parole ed espressioni che vengono usate tutti i giorni nella lingua moderna. Senza il suo genio, saremmo tutti più poveri.

Vi è una notevole diversità di pronuncia fra le varie zone del mondo anglofono. Negli insediamenti di antica data, le differenze si fanno sentire a distanza di pochi chilometri (es. fra un villaggio inglese ed il prossimo), mentre nei paesi più "giovani" (es. l'Australia) si può viaggiare per migliaia di chilometri senza percepire cambiamenti regionali. E' vero che in ogni parte del mondo esistono termini locali, ma nonostante questi e l'accento differente, ci si capisce quasi ovunque. Non esistono quasi più dei veri dialetti, salvo forse in angoli che hanno avuto una storia molto particolare, come la Louisiana che è stata colonia francese. Negli Stati Uniti, ci sono delle parlate "negre" che si differenziano notevolmente dall'inglese "standard", tanto da sembrare dialettali. In genere, chi usa questo tipo di linguaggio può esagerarlo o meno a seconda delle circostanze.

 

 

 

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